Alessandro Tomaselli
Premessa
Il 9 febbraio 2021 la Commissione europea e l'Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell hanno approvato una Comunicazione congiunta che propone un’ambiziosa ed innovativa Agenda per il Mediterraneo riguardante, in particolare, il Rinnovato Partenariato con il vicinato meridionale ed articolantesi in cinque punti:
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Sviluppo umano, buongoverno e Stato di diritto: rinnovare l'impegno comune a favore della democrazia, dello Stato di diritto, dei diritti umani e della governance responsabile.
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Resilienza, prosperità e transizione digitale: sostenere economie resilienti, inclusive e connesse che creino opportunità per tutti, specialmente per le donne e per i giovani.
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Pace e sicurezza: fornire sostegno ai paesi per affrontare le sfide in materia di sicurezza e trovare soluzioni ai conflitti in corso.
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Migrazione e mobilità: affrontare insieme le sfide degli sfollamenti forzati e della migrazione irregolare e agevolare percorsi legali e sicuri per la migrazione e la mobilità.
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Transizione verde: resilienza climatica, energia e ambiente. Proteggere le risorse naturali della regione e generare crescita verde sfruttando le potenzialità di un futuro a basse emissioni di carbonio1.
Tale iniziativa (compendiata da un corposo piano d’investimenti a sua volta da ricondurre al nuovo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale dell'UE (NDICI)2), sembra il caso si premetterlo, si inserisce all’interno di una prospettiva di rilancio del c.d. processo di Barcellona che, come noto, ha conosciuto il proprio abbrivio nel 1995 in forza della sottoscrizione della relativa Dichiarazione da parte dell’allora Comunità Europea insieme a dodici Paesi della sponda sud del Mediterraneo (Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Libia, Libano, Malta, Marocco, Autorità Palestinese, Siria, Turchia e Tunisia) ed in occasione della quale fu varato il Partenariato Euromediterraneo finalizzato alla creazione di uno spazio condiviso di pace e stabilità.
1 joint_communication_renewed_partnership_southern_neighbourhood.pdf (europa.eu)
2 E che nel caso specifico prevede che per il periodo 2021-2027 vengano assegnati per l’attuazione dell’Agenda fino 7 miliardi di euro, importo che potrebbe mobilitare fino a 30 miliardi di euro di investimenti privati e pubblici nella regione nei prossimi dieci anni.
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Ed a conferma del crescente interesse manifestato da parte delle Istituzioni europee nei confronti delle relazioni con i Paesi terzi ma prossimi ai confini dell’attuale UE, non può trascurarsi come, nel corso del tempo, le politiche di vicinato intraprese da quest’ultima si siano contraddistinte per particolare intraprendenza, non potendo conseguentemente ritenersi l’atto in oggetto un caso isolato: infatti, nel 2004 l’Unione europea, in conseguenza dell’allargamento dei propri confini ad est, dà vita alla Politica Europea di Vicinato (ENP, oggetto di successivo aggiornamento nel 2015)3; ancora, il 2008 segna la nascita dell’Unione per il Mediterraneo, organizzazione intergovernativa di cui fanno parte i 27 Stati europei e 16 Paesi tra Nord Africa, Medio Oriente ed Europa sud-orientale (più la Libia come Paese osservatore)4; successivamente, nel 2010 il Comitato Europeo delle Regioni insieme alle Associazioni Territoriali attive in questo contesto istituisce l'Assemblea Regionale e Locale Euro-Mediterranea (ARLEM5) per dare voce agli Enti Locali e Regionali (LRA), mentre nel settembre del 2020 la Commissione europea propone un nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo che contempla diversi elementi necessari per un approccio europeo globale alla migrazione, stabilisce procedure più rapide sul sistema di asilo e migrazione e afferma un equilibrio tra i principi di equa ripartizione della responsabilità e solidarietà6.
La Nuova Agenda per il Mediterraneo come inizio di un umanesimo europeo?
Il documento in esame è certamente da accogliere con cauto ottimismo, e ciò a dispetto delle perplessità derivanti dalle implicazioni non strettamente giuridico-normative che usualmente caratterizzano la gran parte delle iniziative intraprese dalle Istituzioni facenti capo a Bruxelles e contenute all’interno della variegata produzione (simil) normativa atipica europea: a tal ultimo proposito, in particolare, pare piuttosto evidente nel corso del tempo l’abuso da parte dell’ordinamento UE di atti non espressamente riconducibili ad alcuna disposizione del Trattato di Lisbona, e che, se capaci, da un lato, di facilitare il dialogo tra le proprie diverse componenti, nonché l’espressione della relativa volontà d’intenti proprio in quanto scevri da farraginosi iter procedimentali di sorta, dall’altro, si risolvono il più delle volte in sterili petizioni di principio o nella predisposizione di piani d’azione privi di relativi strumenti d’attuazione, in concreto funzionali più al perseguimento di obiettivi di natura politica che al soddisfacimento di effettive esigenze regolatrici.
3 Esaustivo al riguardo quanto riportato al seguente link: Politica europea di vicinato | Note tematiche sull'Unione europea | Parlamento Europeo (europa.eu)
4 Welcome to the Union for the Mediterranean - UfM (ufmsecretariat.org)
5 Assemblea euromediterranea (ARLEM) (europa.eu)
6 Nuovo patto sulla migrazione e l'asilo | Commissione europea (europa.eu)
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Segnatamente, la Comunicazione de quo sembra, innanzitutto, ispirata ad una ratio intrisa di rinnovato pragmatismo (e ciò non solo in forza dell’accennato piano d’investimento accluso) laddove individua precisi ambiti d’intervento non semplicemente in piena armonia con le concrete esigenze che anche la ripresa post-pandemia richiede, ma anche in virtù di una sostanziale interdipendenza tra gli stessi e che pare conferire all’atto in questione un non indifferente grado di omogeneità e coerenza: a ben ragionare, sembra piuttosto evidente, infatti, come il soddisfacimento dei cinque punti contenuti al suo interno acquisisca una valenza unitaria, potendo dunque considerare i medesimi legati da un invisibile quanto sostanziale fil rouge.
In altri termini, appare piuttosto evidente, ad esempio, come il miglioramento della qualità della vita dei singoli all’interno dei Paesi extra UE membri del Partenariato in esame attraverso interventi di carattere non semplicemente economico, ma che vieppiù importino epocali investimenti di natura socio-giuridica avuto specifico riguardo alla riscoperta di modelli di buon governo di matrice democratica, alla lotta alla corruzione e alla valorizzazione dello Stato di diritto e alla conseguente rinnovata considerazione e tutela dei diritti dell’uomo, in particolare a favore della condizione femminile, non possano in concreto prescindere dall’individuazione di soluzioni condivise in riferimento ai conflitti che, a tutt’oggi, dilaniano il tessuto umano, sociale ed economico dei territori de quo: piuttosto esplicita la lettera del documento in esame al riguardo laddove, sulla premessa in forza della quale “Il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti sociali e del lavoro, l'uguaglianza di genere e i diritti dei minori, alimenta la fiducia dei cittadini. Lo Stato di diritto e istituzioni forti che tutelino i diritti e combattano le disuguaglianze favoriscono lo sviluppo umano ed economico contribuendo alla sicurezza e alla prevedibilità del contesto in cui operano le imprese, aiutano ad attrarre investimenti esteri diretti, aumentano la resilienza economica e combattono la povertà e le disuguaglianze. Sostengono ulteriormente questo impegno la governance democratica e i sistemi di uno Stato reattivo, istituzioni responsabili e la lotta contro la corruzione. La lotta contro le manifestazioni di intolleranza, razzismo, omofobia, antisemitismo, odio anti-islamico e altre forme di xenofobia devono rimanere, insieme alla tutela delle minoranze, una priorità condivisa in tutta la regione. Un'attenzione speciale sarà dedicata alla promozione del ruolo delle donne nella società e nell'economia”, aggiunge poi che “Nella regione del Mediterraneo il protrarsi dei conflitti costituisce un importante ostacolo alla stabilità politica e allo sviluppo sostenibile. Le iniziative congiunte per prevenire e risolvere i conflitti, promuovere la cooperazione in materia di sicurezza, attenuare le conseguenze dei conflitti e affrontarne le cause profonde sono priorità fondamentali per tutelare le persone e permettere loro di prosperare”.
Parimenti, è indubbio che la conversione, sebbene graduale, dei modelli economici in essere all’interno di questi ultimi sulla base dei differenti paradigmi della resilienza, nonché della transizione
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digitale e, quindi, realmente in grado di prevedere insperate opportunità di lavoro e di vita per donne e giovani, possa rappresentare uno degli elementi decisivi al fine di scoraggiare la migrazione verso condizioni d’esistenza migliori, soprattutto se accompagnata dalla contestuale trasmigrazione verso autentici modelli di resilienza climatica per il tramite della tutela dell’ambiente e, dunque, in grado di generare crescita “verde” a basse emissioni di carbonio (in particolare in forza dell’esportazione delle peculiarità tipiche del Green Deal europeo): “Il vicinato meridionale è uno dei principali punti di crisi nel mondo per quanto riguarda i cambiamenti climatici e il degrado ambientale. Allo stesso tempo la regione mediterranea ospita alcune delle migliori risorse solari ed eoliche del mondo, il che offre possibilità ineguagliate di cooperazione in materia di energia pulita, con la produzione di idrogeno come nuova priorità strategica. La piena attuazione dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, l'accordo di Parigi e gli obiettivi di biodiversità concordati a livello internazionale saranno cruciali per attrezzare meglio la regione per far fronte a futuri shock sistemici. Il Green Deal europeo rappresenta un'occasione unica di cooperazione sulle priorità strategiche. Rafforzare globalmente l'ambiente, l'energia e la resilienza ai cambiamenti climatici può contribuire ad attenuare i rischi che pesano sulle vite umane e sui mezzi di sussistenza e promuovere lo sviluppo sostenibile, la creazione di posti di lavoro e la transizione verso settori ad alto valore”.
E che tutto ciò possa porsi, in ultima analisi, come elemento sostanzialmente decisivo anche e soprattutto avuto riguardo al drammatico fenomeno della migrazione irregolare, autentica emergenza che per tal fatta conoscerebbe insperati strumenti atti a sensibilmente mitigarne portata e tragiche ricadute, appare quantomeno lapalissiano.
Di quanto accennato sembra avere (finalmente) preso piena coscienza l’apparato istituzionale europeo laddove, nel soffermarsi sull’ineluttabilità di un’azione sinergica tra UE e Paesi parti del Partenariato in oggetto, all’interno della richiamata Comunicazione espressamente rimarca come “La regione del Mediterraneo meridionale si trova di fronte a sfide socioeconomiche, climatiche, ambientali, di governance e di sicurezza, molte delle quali derivano da tendenze globali e richiedono un'azione congiunta da parte dell'UE e dei partner del vicinato meridionale. Il protrarsi dei conflitti continua a infliggere terribili sofferenze umane, provocando ingenti sfollamenti forzati, gravando pesantemente sulle prospettive economiche e sociali di intere società, specialmente per i paesi che ospitano un folto numero di profughi, e intensificando la competizione geopolitica e le ingerenze esterne. Troppe persone rischiano la vita tentando di entrare nell'UE in modo irregolare, alimentando un'industria del traffico di migranti che è spietata, criminale e destabilizzante per le comunità locali. Le minacce del terrorismo, della criminalità organizzata e della corruzione continuano ad alimentare l'instabilità e a soffocare la prosperità. Nel vicinato meridionale la crescita economica non tiene il passo con la crescita demografica. Il livello di integrazione economica regionale dell'area è uno dei
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più bassi del mondo. L'uso non sostenibile delle risorse naturali e i cambiamenti climatici mettono in pericolo l'accesso all'acqua, al cibo e all'energia, accelerano la desertificazione e la perdita di biodiversità, minacciano vite umane. e mezzi di sussistenza. Persistono forti disuguaglianze economiche e di genere, e i governi fanno fatica a soddisfare le aspirazioni dei giovani d'oggi. L'urgenza di affrontare queste sfide è acuita dalla pandemia di COVID-19, che ha messo chiaramente in luce le vulnerabilità condivise e la reciproca interdipendenza. La nuova agenda per il Mediterraneo integra nuove aree e forme di cooperazione che si sono profilate durante la crisi. Offre possibilità di nuovi partenariati sulle priorità strategiche della transizione verde e digitale e si basa sulla convinzione che la prosperità sostenibile e la resilienza possano essere costruite solo nell'ambito di un solido partenariato esteso a tutto il Mediterraneo. Il partenariato si baserà su valori comuni e sul dialogo, e sui progressi nell'agenda socioeconomica e politica condivisa, ivi comprese le riforme in settori quali la governance e lo Stato di diritto, la stabilità macroeconomica e il contesto in cui operano le imprese. La nuova agenda mira a una ripresa verde, digitale, resiliente e giusta, ispirata all'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, all'accordo di Parigi e al Green Deal europeo”.
Tuttavia, a parere di chi scrive, il primo reale elemento innovativo, rectius perfino rivoluzionario, di cui il documento in esame è latore, così ponendosi alla stregua di autentica pietra miliare all’interno dei percorsi politici e normativi caratterizzanti l’ordinamento UE, appare senz’altro rappresentato da un insperato quanto plaudito recupero di una posizione di centralità dell’individuo, a quanto pare alfine degno di emanciparsi, nella rigenerata sensibilità del legislatore di Bruxelles, dall’asettica condizione di mera funzione di mercato cui è da sempre sostanzialmente stato relegato all’interno delle logiche ordinamentali del Vecchio Continente e dunque adesso meritevole di essere ammantato da ben altro, e certamente più aureo, pregio; con ciò, sia chiaro, non negando, certamente, la rilevanza, per quanto qui secondaria, attribuita alle implicazioni e alle finalità economiche ad ispirazione della stipula del Partenariato in questione, da un verso, né le riserve e le perplessità (v. oltre) comunque al medesimo attribuibili , d’altro canto.
Non si coltivi, cioè, l’illusione in merito ad un’improvvisa folgorazione sulla via per Damasco capace di abbagliare menti e cuori dei burocrati di Bruxelles, ed in grado, in quanto tale, di finalmente sviscerare dalle profondità delle più recondite rationes eurounitarie le astratte velleità di matrice solidale ed umanistica ispiranti gli aneliti federalistici dei padri fondatori di un’Europa delle genti davvero unica e unita, e per troppo tempo relegati al modesto ruolo di meri adorni lessicali intrisi di vuota retorica all’interno dei preamboli dei Trattati: il progetto d’integrazione europeo nasce e si sviluppa con finalità essenzialmente, e molto più concretamente, mercantilistiche, e, dunque, una considerazione dell’operato delle istituzioni europee lontana da considerazioni di realpolitik di tal
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fatta, e che tutt’ora intesse ed ispira il coacervo di relazioni interne ed esterne all’UE, sarebbe del tutto improponibile.
Ciò su cui in tale sede si vuole porre l’attenzione riguarda la parallela (e tanto agognata) riscoperta dell’essere umano in sé considerato, senza che però questo importi l’abbandono di posizioni realistiche comunque dettate dalla primaria esigenza di non smarrire caratteri ed obiettivi di altra natura nell’operato del legislatore europeo.
Anche in questo caso, piuttosto esplicita la lettera del documento in esame che soccorre ad avallo di quanto testé sostenuto, così ponendosi in termini di reale unicità all’interno del panorama politico-normativo europeo, e ciò in considerazione di una radicale rivisitazione dei propri tradizionali strumenti d’approccio: “la presente comunicazione congiunta propone una nuova, ambiziosa e innovativa agenda per il Mediterraneo, attingendo per la prima volta all'intera gamma di strumenti dell'UE e alle inedite opportunità della duplice transizione verde e digitale, per rilanciare la cooperazione e realizzare le potenzialità inespresse della regione che condividiamo. La prospettiva della ripresa dopo la pandemia di COVID-19 offre una rara occasione all'Europa e alla regione mediterranea di impegnarsi per un'agenda comune e incentrata sulle persone e per le azioni necessarie alla sua attuazione”.
Naturalmente, e come peraltro già accennato, affinché tali elevati principi ed obiettivi conoscano piena effettività sarà necessario tramutare in azioni concrete gli ambiziosi propositi contenuti all’interno del documento de quo, al contrario concretamente rischiando che anche di esso si perda memoria, contribuendo a rimpinguare il novero delle iniziative UE sprofondate negli abissi dell’oblio della sterile produzione para-normativa europea priva di sostanziale effettività.
Al riguardo, un’iniziativa che rappresenterebbe una prima concretizzazione di quanto appena propugnato potrebbe individuarsi nella promulgazione di una Carta Mediterranea dei Diritti Umani che l’UE dovrebbe sottoscrivere con i Paesi membri del Partenariato de quo, ed altresì aperta all’adesione di altri Stati extra europei gravitanti nell’area che ci riguarda a suggello del compito di promozione e sviluppo che a livello globale l’Unione Europea si è, almeno astrattamente, intestato.
Com’è intuitivo, qualora un Atto del genere dovesse realmente vedere la luce, sarebbe innanzitutto necessario individuare in capo allo stesso peculiarità tali da renderlo giuridicamente vincolante nei confronti delle parti aderenti, al fine di evitare che lo stesso acquisisca un significato meramente politico al pari, ad esempio, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 nata in seno all’ONU: è innegabile, a proposito, come la categoria dei diritti fondamentali dell’individuo costituisca ed abbia spesso costituito più uno strumento atto ad ammantare di prestigio e visibilità il soggetto statale o extra territoriale ad esso rifacentesi che un concreto mezzo di protezione del singolo.
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E l’unica modalità, si ritiene, tramite la quale un’iniziativa del genere potrebbe conoscere effettivo riscontro pratico sarebbe rappresentata dalla previsione di un apparato giurisdizionale ad hoc e che, sulla falsariga di quanto la CEDU prevede in materia di giurisdizione e competenza della Corte di Strasburgo sia in caso di ricorso individuale che interstatale, eserciti le proprie funzioni di protezione delle prerogative del soggetto per il tramite di un apposito sistema sanzionatorio, ulteriore indefettibile garanzia anche in termini di deterrenza, e dunque di piena tutela contro chiunque si sia reso protagonista della specifica violazione.
Certamente, qualora un progetto del genere dovesse trovare effettivo compimento, potrebbe opporsi la teorica estrema problematicità in termini di coordinamento con i sistemi giudiziari già esistenti al riguardo in ambito macro regionale, e cioè la richiamata Corte di Strasburgo, da un lato, nonché e soprattutto la Corte Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli (competente sulla corretta interpretazione dunque applicazione della relativa Carta) non foss’altro per la propria astratta competenza territoriale anche in riferimento agli Stati nordafricani membri del Partenariato in esame, dall’altro.
Tali eventuali obiezioni, tuttavia, sarebbero facilmente superabili sol se si consideri, intanto, che la giurisdizione degli interpreti di Strasburgo non possiede una generale valenza extraterritoriale, mentre, d’altro canto, il prezioso strumento del ricorso individuale non potrebbe adirsi di fronte alla Corte Africana se non a condizione di espressa accettazione del singolo Stato in tal senso; ed atteso che ad oggi le uniche 7 compagini statali (Burkina Faso, Ghana, Malawi, Mali, Tanzania, Ruanda e Costa d’Avorio) sulle 53 aderenti alla Carta Africana dei diritti fondamentali che hanno manifestato una volontà in questa direzione non sono parti del documento oggetto delle presenti riflessioni, la questione appare in realtà priva di effettiva sostanza.
D’altro canto, una svolta sì significativa avuto primario riguardo alla protezione del singolo, per quanto da accogliersi con rinnovato entusiasmo e speranzosa fiducia in una reale inversione di tendenza anche per il futuro dell’azione del legislatore europeo, non dovrebbe in astratto sorprendere più di tanto in considerazione del ruolo di assoluta pregnanza che l’UE ricopre proprio in riferimento alla tutela dei diritti umani, dovendo semmai ritenersi lacunosa in tal ultimo senso la maggioranza della precedente normativa facente capo al Vecchio continente: segnatamente, considerato che l’UE si è, innanzitutto, dotata di una Carta dei Diritti fondamentali già a far data dal 2000, vieppiù sancendo in forza del Trattato di Lisbona l’ingresso all’interno del sistema CEDU, e dunque individuata in seno all’Unione Europea una mission contraddistinta dall’assoluta (almeno sulla carta) dedizione alla riscoperta della persona, un documento quale quello in oggetto altro non dovrebbe rappresentare se non un’ulteriore conferma nella direzione anzidetta, e non, al contrario, un inaspettato momento di ridefinizione del focus dell’azione dell’UE finalmente del tutto in linea con quanto sancito dal
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contenuto dei Trattati internazionali cui l’UE aderisce (Convenzione Europea dei Dritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali) o di Atti promulgati dalla stessa e aventi oggetto la garanzia delle prerogative essenziali del soggetto (Carta di Nizza).
In altri termini, attraverso la promulgazione di documenti quali il Partenariato in esame l’UE pone di fatto fine al perverso paradosso in cui ha stagnato per lungo tempo, e cioè paladina dei diritti fondamentali, al contempo principalmente orientata al perseguimento di fini ed interessi di natura economica; e se può tollerarsi, come accennato, che all’interno dell’ordinamento europeo convivano due anime tra loro ontologicamente contrapposte, inevitabilmente ponendo così quest’ultimo alla stregua di novello giano bifronte dai nebulosi contorni, ciò dovrebbe avvenire però sul presupposto di una chiara definizione di ruoli e priorità di matrice gerarchica: la vocazione mercantilistica, cioè, non dovrebbe giammai scavalcare, a volte perfino soverchiandola, quella improntata all’esaltazione e alla tutela dell’individuo.
La storia più recente ci insegna, però, che all’interno dei nostri confini non sempre è stato così. Tutt’altro. E ciò già con riferimento alla lettera dei Trattati, ove i tentativi di conciliare esigenze tra loro naturalmente contrastanti si sono risolti in inestricabili nodi gordiani.
Si prenda, ad esempio, l’art. 3, punto 3 del Trattato sull’Unione Europea ove, tra l’altro, espressamente si sancisce che l’UE “instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente”: come peraltro intuibile anche per i non addetti ai lavori, infatti, un sistema economico può alternativamente strutturarsi o sulla base di finalità essenzialmente sociali in ottica redistributiva almeno con riguardo a servizi essenziali, e dunque avulse ai principi tipici di un sistema liberal-capitalistico quali la massimizzazione dei profitti da perseguire all’interno di un contesto di libera concorrenza in quanto scevro da interventi esterni, oppure, al contrario, specificarsi in forza di tali ultimi fattori testé richiamati, non potendo dunque considerarsi affatto cumulabili i rispettivi elementi caratterizzanti.
Al di là di tutto, il recupero di posizioni principalmente garantiste nei confronti dell’essere umano in sé considerato da parte dell’apparato ordinamentale UE appare particolarmente significativo con riguardo a ciò che, nell’opinione di chi scrive, rappresenta altro punto fondamentale dell’iniziativa in esame, specificamente all’interno della rinnovata prospettiva umanistica cui si è accennato, e cioè la questione dei migranti.
A ben riflettere, infatti, l’intero impianto della Nuova Agenda per il Mediterraneo che l’UE si appresta a varare appare in ultima analisi funzionale all’individuazione di nuove modalità nella
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gestione non solo delle migrazioni, ma, ancor prima, nella risoluzione o perlomeno nel contenimento delle annose ed irrisolte criticità che affliggono, nel caso specifico, gli abitanti dei territori nord africani e mediorientali con affaccio sul mar Mediterraneo.
Pare si sia davvero maturata a livello europeo piena consapevolezza della non più procrastinabile impellenza di una radicale ed autentica trasformazione delle condizioni di vita delle popolazioni dei Paesi membri del Partenariato, essendosi rivelate nei fatti del tutto inadeguate le misure adottate fino ad oggi e che hanno avuto come obiettivi solo (i tentativi) di regolare gli effetti dei flussi migratori, capaci di raggiungere in alcuni momenti dimensioni apocalittiche: iniziative, ad esempio, quali Frontex o l’intera normativa di Dublino, infatti, si occupavano e preoccupavano semplicemente del controllo delle rotte o di come (spesso peraltro goffamente) gestire e smistare i migranti una volta arrivati sulle nostre coste; parimenti, il contenuto degli accordi conclusi tra governi e/o autorità locali dei Paesi bagnati dal mare nostrum ha principalmente avuto come oggetto il contrasto alla criminalità organizzata che per mano di scafisti privi di scrupoli ha lucrato sulla vita di masse di disperati. Dunque, un approccio di natura emergenziale nei confronti delle conseguenze ma non certo delle cause alla base della fuga dai propri territori d’origine.
Adesso, i rinnovati paradigmi della solidarietà, della cooperazione e dell’intervento diretto (anche di natura economica) all’interno dei territori più disagiati e a cui sembra ispirato il nuovo corso della politica UE, potrebbero davvero rivelarsi decisivi nella gestione di una problematica allo stato del tutto fuori controllo (con gravissime ricadute anche in termini sanitari vista l’alta percentuale di soggetti risultati positivi al COVID-19 al momento dell’approdo sulle nostre coste): anche in questo caso, soccorre l’espresso contenuto del Partenariato in questione laddove si rimarca che “La migrazione è un fenomeno globale che richiede risposte comuni, solidarietà e condivisione delle responsabilità a livello globale. Nessun paese da solo può gestire efficacemente la migrazione né superare le sfide della migrazione irregolare. Il nuovo patto sulla migrazione e l'asilo dell'UE mira a un cambiamento di passo nell'interazione con i partner internazionali. È incentrato su partenariati globali, su misura, equilibrati e reciprocamente vantaggiosi. L'obiettivo finale è quello di garantire che la migrazione avvenga solo in modo sicuro e regolare, prevenendo viaggi pericolosi ed evitando la perdita di vite umane, combattendo il traffico di migranti e rafforzando la cooperazione sulla governance della migrazione, offrendo nel contempo protezione internazionale a coloro che ne hanno bisogno. I paesi dovrebbero essere messi in condizione di offrire un futuro sociale ed economico stabile e prevedibile foriero di possibilità reali, soprattutto per i loro giovani. L'UE lavorerà attivamente per affrontare le cause alla radice della migrazione irregolare e dello sfollamento forzato, attraverso la risoluzione dei conflitti e il superamento delle sfide socioeconomiche acuite dalla COVID-19 (…) I nostri partenariati rafforzati sulla migrazione comprendono tutti i diversi aspetti
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della migrazione e dell'asilo, tenendo conto degli interessi dell'UE e dei paesi partner. Allo stesso tempo questi saranno integrati nei diversi assi di cooperazione: politica, sicurezza ed economia. Ogni paese si confronta con situazioni specifiche proprie e ha possibilità proprie: non esiste una strategia universalmente valida, servono soluzioni su misura. Quest'aspetto si riflette e continuerà a riflettersi nei partenariati globali dell'UE con ciascun singolo paese, in linea con il nuovo patto sulla migrazione e l'asilo. La migrazione irregolare comporta delle sfide sia per la regione che per l'UE, anche perché rafforza l'influenza destabilizzante e il potere economico delle reti criminali. La soluzione risiede nell'affrontare insieme il problema del traffico di migranti. In questo senso l'UE e i paesi partner intensificheranno considerevolmente gli sforzi comuni per combattere il traffico e lottare contro le reti criminali che gestiscono il traffico di migranti e la tratta di esseri umani. Rafforzare la governance della migrazione e dell'asilo, compresa la capacità di gestione delle frontiere, costituisce uno degli elementi di fondo. L'UE è pronta a fornire sostegno in base alle esigenze dei partner”.
Considerazioni conclusive
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