Con la sentenza n. 41 dell’11 marzo 2024, la Corte Costituzionale ha trasmesso un segnale forte in materia di presunzione di innocenza, facendo valutazione anche in termini di politica criminale, e ha reagito contro quella che ormai può definirsi una emblematica deriva patologica, nel caso oggetto di decisione, rappresentata da un provvedimento di archiviazione per prescrizione che presenta la persona sottoposta alle indagini come colpevole, senza averle dato alcuna possibilità di difendersi dalle accuse.
Nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Lecce, con riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, commi secondo e terzo, della Costituzione, dell’art. 411, comma 1-bis, del codice di procedura penale, la Corte ha evidenziato come il provvedimento di archiviazione per intervenuta prescrizione, contenente anche apprezzamenti sulla colpevolezza della persona indagata, costituisce lesione del diritto costituzionalmente garantito alla difesa, al contraddittorio e del sacro principio della presunzione di non colpevolezza; ciò sulla scorta del sacrosanto assunto per cui “né dalla mera iscrizione nel registro delle notizie di reato, né dal provvedimento di archiviazione, debba essere fatta discendere alcuna conseguenza giuridica pregiudizievole per l’interessato”.
La questione di legittimità costituzione è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Lecce a seguito di reclamo, presentato dall'indagato ai sensi dell'art. 410-bis c.p.p., avverso il decreto di archiviazione emesso nei propri confronti. L’indagato ne lamentava l'illegittimità per violazione del principio del contraddittorio, atteso che nella richiesta di archiviazione e nel successivo decreto si argomentava apertamente e approfonditamente – in relazione ai fatti qualificabili quali corruzioni in atti giudiziari - su come la ricostruzione del denunciante fosse comunque suffragata da “molteplici elementi di riscontro documentali”, ma che l’intervenuto l'avvenuto decorso del termine di prescrizione escludesse “la possibilità di giungere ad una archiviazione con una formula diversa che attinga il merito della vicenda”.
La Corte costituzionale, pur dichiarando infondate le questioni di legittimità sollevate dal giudice a quo, ha colto l’occasione per sottolineare due aspetti di fondamentale importanza.
In prima battuta, riprendendo le motivazioni espresse nelle precedenti sentenze n. 175 del 1971 e n. 275 del 1990, e richiamando il dettato normativo dell’art. 61 c.p.p. ( che estende le garanzie e dei diritti dell'imputato alla persona sottoposta alle indagini), la Consulta ha evidenziato che il diritto di rinunciare alla prescrizione, inteso come il diritto a che sia instaurato un processo nel quale l'interessato sia posto in condizioni di dimostrare l'infondatezza di qualsiasi notitia criminis che lo riguarda, pacificamente riconosciuto in via generale all'imputato a valle dell'esercizio dell'azione penale, non può invece essere riconosciuto all’indagato.
Ciò perché, nel contesto del giudizio penale, fintanto che un soggetto mantiene la qualifica di indagato, non vanta alcun diritto costituzionale ad avere un accertamento negativo su qualsiasi notizia di reato che lo riguardi, considerato che, proprio in quanto indagato, è destinatario di accuse mai formalizzate dal pubblico ministero.
Ciò detto, pur negando il diritto della persona sottoposta alle indagini a rinunciare alla prescrizione per pretendere l’accertamento negativo della fondatezza dell’accusa provvisoria mossagli, la Corte costituzionale ha riconosciuto tuttavia come «richieste o decreti di archiviazione che, anziché limitarsi a ricostruire il fatto nei termini strettamente necessari a verificare l’avvenuto decorso del termine di prescrizione, esprimano giudizi sulla colpevolezza dell’interessato, violano in maniera eclatante – oltre che la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, secondo comma, Cost. – il suo diritto di difesa, inteso anche quale diritto di “difendersi provando”» e «devono pertanto essere rimossi attraverso appropriati rimedi processuali».
Invero, la Consulta ha evidenziato come l'iscrizione nel registro dei reati è atto “neutro”, così come altrettanto “neutro” non può che essere il provvedimento di archiviazione: secondo la Corte, non rispettare la natura di tali atti procedimentali, comporterebbe gravissimi danni sia alla reputazione delle persone – e, a cascata, alla loro vita familiare, sociale, professionale – a seguito della indebita diffusione, tramite i mass media, della mera notizia dell'apertura di procedimenti penali nei loro confronti, così come di eventuali provvedimenti di archiviazione che diano comunque conto degli elementi a carico raccolti durante le indagini, pur concludendo poi nel senso della impossibilità di esercitare l'azione penale”
Impossibile non rilevare l’estrema importanza delle argomentazioni addotte dalla Corte Costituzionale, con la sentenza in commento, che manifestano l’obiettivo primario di adeguare il nostro sistema processuale ai principi costituzionali alla difesa e alla partecipazione al processo, nonché di assicurare che la pratica giudiziaria sia improntata al principio di presunzione di non colpevolezza consacrato dall’art. 27 della Costituzione.
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