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Limiti di ammissibilità dell’azione di spoglio in una recente decisione del Tribunale di Catania

avvluigipapalia

Aggiornamento: 7 dic 2023

Gli stretti limiti di ammissibilità dell’azione di spoglio in una recente decisione del Tribunale di Catania (Decr. n. cron. 9861/2023 del 28/11/2023 – Rep. n. 7418/2023 del 30/11/2023)


È noto che, a differenza del giudizio civile petitorio, vertente sui profili dominicali del diritto (e quindi sulla tutela del diritto stesso di proprietà), il giudizio possessorio è finalizzato a tutelare una situazione di fatto, o materiale ovvero un possesso (o compossesso) che si esplichi su un determinato bene.

Corollario di tale distinzione è quello per cui nel giudizio possessorio non è necessario dimostrare il titolo in base al quale si possiede (cfr. Cass., 21 marzo 1987, n. 4625; Cass., 26 ottobre 1982; Cass., 27 dicembre 2004, n. 24026), quanto piuttosto una situazione di fatto che si risolve nella relazione ovvero nella signoria materiale che si deve allegare tra un determinato soggetto e la cosa posseduta.

L’onere di allegazione e di prova di un ricorso possessorio investe pertanto in primo luogo non la titolarità di un diritto, quanto, piuttosto, l’esistenza e l’esercizio di un possesso.

Infatti (cfr. Cass. n. 3975 del 18 febbraio 2013), “chi propone l’azione a tutela del possesso, deve farsi carico di dimostrare di possedere i presupposti dell’azione ovvero di essere possessore del bene e di aver proposto l’azione tempestivamente”.

Il Tribunale di Catania in una recentissima decisione emessa dalla terza sezione civile, facendo applicazione sostanzialmente di tale principio, ha rigettato un ricorso possessorio.

Nel caso concreto una donna chiedeva, tramite azione possessoria, la rimozione di una rete e di un cancelletto in ferro asseritamente apposti dal vicino su un camminamento – che, a suo dire, sarebbe stato “comune”, ricadendo su una particella comune - senza tuttavia sostenere/precisare il concreto possesso/uso del camminamento.

Il Giudice etneo, dopo aver evidenziato che nel giudizio possessorio sono irrilevanti le questioni (petitorie) afferenti alla proprietà ovvero quelle “relative alla delimitazione dei confini tra le due proprietà e alla titolarità comune o meno di un camminamento in base ai titoli”, ha rigettato il ricorso osservando che la ricorrente avrebbe dovuto quantomeno sostenere di aver posseduto, ed il modo in cui l’ha eventualmente fatto, il camminamento oggetto di causa.

Esattamente “sarebbe stato necessario compiutamente allegare (…) il pregresso uso concreto del camminamento da parte della ricorrente ed il concreto uso degli spazi in tesi oggetto di spoglio”.

D’altronde se “l’accertamento del giudice in sede possessoria deve riguardare l'elemento oggettivo della privazione totale o parziale del possesso compiutamente descritto” questo deve riguardare anche “l'elemento soggettivo, ossia l'"animus spoliandi", consistente nella consapevole volontà di sostituirsi al possessore, contro la volontà di questo e modificando uno stato di fatto idoneo a palesare l’esercizio concreto dei poteri corrispondenti ad un diritto reale, indipendentemente dal titolo”.

E “l’animus spoliandi” – ha aggiunto tra le altre il Tribunale – “non può coincidere, come invece descritto in ricorso, con l’agire consapevolmente in contrasto con l’atto pubblico di acquistodella proprietà.

Insomma, per come statuito dal Tribunale di Catania, il ricorso difettava dei requisiti per poter essere accolto.

Peraltro, la ricorrente aveva formulato con azione possessoria anche una domanda risarcitoria.

Trattasi di domanda – ha aggiunto il Tribunale - “inammissibile nella fase interinale” possessoria: infatti “se l'attore, che invochi la tutela possessoria, intende ottenere la condanna dell'autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve piuttosto necessariamente richiedere al giudice, nel termine previsto dall'art. 703, comma 4, la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le questioni inerenti le pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena”.

Il Giudice ha così rigettato il ricorso, condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese legali in favore della parte convenuta.



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